Camerati vi saluto
Mimmo Frnazinelli , Disertori,
Milano, Mondadori, 2016
Fossimo stati reduci del secondo
conflitto mondiale, probabilmente la lettura delle vicende di chi lasciò nelle
peste i propri commilitoni per imboscarsi con la fidanzata ucraina oppure per
passare dalla parte dei nemici (perché quelli erano), come i partigiani
albanesi o sloveni, ci avrebbero lasciato motivi di profonda irritazione, anche
vista l’indulgenza che Mimmo Franzinelli ha nei confronti di chi fece questo
tipo di scelta. A margine di questa personale riflessione, riteniamo che il
limite dello studio sia la continua alternanza fra l’aneddotica e l’analisi di
vicende di spessore maggiore, per cui senza soluzione di continuità si passa da
episodi che ebbero scarso o nullo seguito, come gli abbandoni dai reparti
impiegati nell’infernale scenario della steppa sovietica (semmai talmente
scarse da fare risaltare il senso del dovere di decine di migliaia di italiani)
a questioni di rilievo ben diverso, come l’incapacità del regio esercito post
armistiziale di riuscire a far rimanere nei ranghi coloro che rientravano nelle
classi di leva, o erano rimasti in grigioverde dopo l’8 settembre, in singolare
parallelismo con quanto accadeva a Rodolfo Graziani nel settentrione d’Italia.
Anche il voler mettere assieme periodi storici oggettivamente differenti per
trovare un filo conduttore unico, ossia la fuga dalle forze armate, non giova
alla lettura, che spesso si inceppa, o risulta difficoltosa: unire le scelte di
coerenza ideologica di chi, prima della caduta di Mussolini, decise in
territori occupati dal nostro esercito di passare alle formazioni partigiane
assieme alle storie dei pochi (davvero una pattuglia sparuta) che si prestarono
allo spionaggio per potenze nemiche, non aiuta a comprendere il fenomeno
analizzato. Il fatto poi che le misure draconiane adottate nella RSI per
stroncare il fenomeno della renitenza alla leva fossero state paventate anche
da diversi alti ufficiali dell’esercito fedele a Badoglio, più che mostrare come
l’ideologia fascista avesse plasmato le forze armate nel corso del ventennio,
ci fa osservare quanto la crudeltà e il terrore fossero il pedigree del nostro
esercito fin dalle decimazioni di cadorniana memoria. In conclusione nell’opera
di Franzinelli non mancano spunti di riflessione o narrazioni di episodi sino
ad oggi scarsamente conosciuti; questi però risultano immersi in un mare di storie
individuali che non permettono al lettore, studioso o semplice appassionato, di
trarre una conclusione unica se non quella che la guerra è brutta e non
andrebbe mai fatta. Un po’ poco a dire il vero.
L’altra Tagliamento
Stefano Fabei ,la legione
Tagliamento in Russia, Edibus, Vicenza, 2015
Difficile capire la terribile Tagliamento di Salò senza studiare la
vicenda di questo reparto (uno dei pochi a passare armi e bagagli ai tedeschi
dopo l’armistizio) nel periodo 1941-43, ossia nel corso della campagna di
Russia, affrontata prima nel CSIR e successivamente nell’ARMIR. Alcuni
ricercatori, su tutti Sonia Residori (unica ad aver redatto una monografia sul
reparto nel corso dei seicento giorni della RSI), hanno sostenuto che i legami
fra le due Tagliamento sono assai
esili, se non praticamente nulli. In realtà leggendo il documentato e corposo
lavoro di Stefano Fabei, non mancano motivi di riflessione su questo tema. La
sanguinosa epopea delle camicie nere in terra sovietica, infatti, fu uno dei
miti su cui si basarono le scelte avvenute al momento dell’armistizio. La
legione comandata da Niccolò Nicchiarelli (elemento che ebbe un ruolo
determinante nella ricostituzione della milizia, poi GNR, sotto le insegne
dell’aquila e del fascio) ebbe infatti tragiche perdite in uomini e mezzi nel
corso dei due anni trascorsi sul fronte del Don, in alcuni casi paragonabili o
addirittura superiori a quelle degli altri reparti del regio esercito. Il fatto
in sé, oltre che testimoniare l’indubbio valore del reparto, era la prova
palese della assoluta inadeguatezza in termini di addestramento ed
equipaggiamento di quella che avrebbe dovuto essere la punta di diamante delle
forze armate mussoliniane. Assieme al mito del sangue, si univa poi quello
della “patria irriconoscente”, altro tema che avrà un forte peso nelle
dinamiche di crudele straniamento della Tagliamento
dal tessuto civile del nord Italia, e che aveva premesse corpose e ben
alimentate dal comportamento dei vertici della formazione, i quali per mesi
lamentarono disattenzione e scarsa considerazione da parte della macchina
propagandistica del regime e dei vertici delle forze armate. Il combustibile
per una scelta vendicativa e oltranzista, insomma, era pronto per incendiarsi
ben prima dell’armistizio; senza considerare le scelte dissennate successive al
25 luglio, quando non venne presa l’unica decisione sensata nei confronti della
milizia, ossia il suo immediato disarmo, preferendo l’incorporazione nell’esercito
regio, forza militare che aveva considerato le camicie nere un corpo estraneo
fin dalla fondazione della MVSN. A parer nostro le vicende conclusive della
formazione, ossia la prosecuzione della guerra ideologica iniziata nel giugno
del 1940, appaiono diretta conseguenza dei sentimenti di questi fascisti “senza
se e senza ma” illustrato nello studio di Fabei, davvero uno dei migliori
sull’argomento.
Il sangue sulle montagne
Sonia Residori, L’ultima valle, Istrevi, Vicenza, 2015
La strage di Pedescala, comune montano
al confine con il Trentino, fu una delle ultime commesse dalla Wehrmacht nel
nostro paese, quando ormai la resa senza condizioni era stata firmata a Caserta
dagli emissari di Karl Wolff e Heinrich von Vietinghoff; a cavallo della fine dell’aprile
1945, morirono in questa località e nei suoi dintorni oltre sessanta civili
inermi, per cause che l’autrice cerca (finalmente) di studiare in modo
scientifico, dopo decenni di ricostruzioni sommarie, distorte, se non
semplicemente sbagliate. Prima di addentrarsi nella cronistoria del massacro, Sonia
Residori analizza la complessa trama della resistenza in questa parte della
provincia di Vicenza, così come la presenza nazista e fascista, altrettanto
ramificata ed estesa; due storie solo in apparenza senza sovrapposizioni, in
realtà caratterizzate da una serie di “vasi comunicanti” fatti di figure
equivoche e doppiogiochisti, traditori dell’uno e dell’altro campo. Un
canovaccio complicato che si andò ulteriormente ad aggrovigliare nell’ultima
settimana di guerra, quando uno dei rivoli della ritirata generale verso il
Brennero risalì la Val d’Astico, trovando le formazioni partigiane del luogo
decise a fermare le truppe tedesche ai piedi dell’altopiano di Asiago; la
studiosa vicentina evita di soffermarsi sull’elemento scatenante del macello,
ossia l’inutile ricerca di chi sparò per primo e chi rispose al fuoco: la questione
effettivamente ci pare oziosa visto il contesto generale. E’ invece utile
l’indagine certosina sui reparti nazisti presenti a Pedescala e nei suoi
immediati dintorni, effettuata anche con l’aiuto di materiale fotografico
inedito, dal quale si evince una sicura presenza di elementi paracadutisti e
dell’antiaerea germanica fra chi mise letteralmente a ferro e fuoco il paese. Sonia
Residori prosegue poi il suo racconto doloroso con il dopo, spesso oscurato in
altre narrazioni, ossia le esecuzioni sommarie avvenute ai primi di maggio del
1945 di fascisti e tedeschi che erano stati fatti prigionieri nei giorni
precedenti, e che quasi certamente nulla avevano a che spartire con l’eccidio;
anche questo pezzo di storia non viene taciuto, così come l’ignavia nazionale
delle archiviazioni provvisorie di palazzo Cesi, che non permisero
l’individuazione dei colpevoli. Ci troviamo quindi di fronte ad un lavoro
complesso e articolato, e assieme preciso e puntiglioso, indispensabile per
chiunque voglia approfondire la storia della fine della guerra in Italia, di
cui Pedescala rappresenta un sanguinoso e fino a oggi semisconosciuto
frammento.