domenica 3 gennaio 2021

Il meglio del 2020

 

Cesare Catananti, Il Vaticano nella tormenta, Edizioni San Paolo, Milano, 2020

In genere quando i ricercatori storici si sono interessati dell’azione del Vaticano nel corso della seconda guerra mondiale e durante l’occupazione tedesca di Roma, l’attenzione è andata soprattutto agli atti diplomatici della Santa Sede. Il volume di Catananti, frutto di uno studio attento degli archivi della Gendarmeria pontificia, osserva invece il piccolo mondo della Città del Vaticano, una minuscola enclave pacifica in mezzo ad una guerra mondiale, ed uno scoglio di libertà nel corso del tragico periodo del dominio nazista. Stato indipendente riconosciuto da tutte le forze in campo, il Vaticano ospitò corpi diplomatici di paesi in guerra o sconfitti dal terzo Reich, sotto stretta sorveglianza dalla polizia fascista, e riuscì a dare ospitalità a prigionieri di guerra alleati che, in qualche modo, oltrepassavano il colonnato del Bernini; i vertici della Gendarmeria, che assieme alla Guardia svizzera provvedeva alla sicurezza dei labili confini della città leonina, erano ben consci di come la sicurezza del Pontefice fosse tutt’altro che un dato acquisito, tanto che nella cruciale estate del 1943 fu redatto un dettagliato piano di difesa dei palazzi apostolici, nell’eventualità che una azione armata potesse mettere a repentaglio la vita di Pio XII. Ovviamente, se un commando tedesco avesse cercato, come era effettivamente stato progettato, di rapire il Papa, ben poco avrebbero potuto fare poche centinaia di guardie male armate e poco addestrate, se non “difendere col proprio corpo” il Pontefice, come si legge in una parte della relazione. Con l’arrivo degli Alleati, a giugno del 1944, non finirono comunque i grattacapi per il piccolo corpo militare che operava all’ombra del cupolone, con decine di militari e civili tedeschi che in qualche modo cercavano di evitare la prigionia scavalcando a loro volta le transenne di piazza san Pietro. L’autore affronta anche questo conclusivo periodo con precisione e puntualità, tratti distintivi dell’intero studio.

Mimmo Franzinelli, Storia della Repubblica Sociale Italiana, Laterza, Bari, 2020

La storia della repubblica di Mussolini ha conosciuto nell’ultimo ventennio una rinnovata attenzione da parte degli storici, con lavori di diseguale livello, soprattutto per la tendenza di molti studiosi di voler dimostrare i propri teoremi ideologici prima ancora di aver ricostruito i fatti effettivamente accaduti. Il corposo e approfondito studio di Franzinelli rappresenta un po’ la “summa” di una lunga stagione di ricerche che lo storico bresciano ha svolto nell’arco di un quarto di secolo sulla storia della resistenza, del fascismo e dell’occupazione tedesca. Non casualmente molti dei temi affrontati dall’autore nel corso degli anni ritornano nel volume: la sudditanza verso gli occupanti nazisti, il declino umano e politico di Mussolini, la violenza come tratto distintivo del fascismo di Salò, la corte dei miracoli raccolta attorno a villa Feltrinelli, e la persecuzione degli ebrei attuata senza pietà in stretta collaborazione con le SS. Certamente tutto questo è ben documentato nella ricerca, ed appare innegabile nei fatti; tuttavia non convincono alcune interpretazioni frettolose o la sufficienza con cui viene analizzato il ritorno in campo di intellettuali e politici tutt’altro che sconosciuti come Giovanni Gentile, Filippo Tommaso Marinetti o Nicola Bombacci, i quali avrebbero forse meritato una attenzione maggiore e ritratti umani meno “tranchant”. Allo stesso modo il tema delle rappresaglie verso i fascisti dell’aprile e maggio 1945 probabilmente poteva essere affrontato in modo diverso dal semplice rapporto “causa effetto” (violenza inferta e violenza ricevuta), anche alla luce di una geografia della violenza che fu diseguale in tutto il nord Italia. Detto questo, la ricerca di Franzinelli è comunque un utile lavoro di insieme, che può servire da guida per chi affronti da neofita l’argomento o da chi intenda approfondire una delle stagioni più tragiche della storia della nostra nazione.

AA. VV., Di guerra e di genti: 100 racconti della Linea Gotica, Pendragon, Bologna, 2020

Andrea Marchi, Gabriele Ronchetti e Massimo Turchi, curatori di questo volume collettaneo, hanno condotto un lungo e proficuo lavoro di raccolta di testimonianze, scritte e orali che si è dipanato in luoghi diversi per oltre un decennio. Il canovaccio è la Linea Gotica, dove il fronte italiano si fermò per più di sei mesi a cavallo fra 1944 e 1945, e che scorreva lungo l’Appennino fra Toscana, Emilia e Romagna; vissero a cavallo di questo fronte, non sempre definito in modo chiaro, le comunità locali, i partigiani, i tedeschi, i fascisti, gli americani, i britannici e i brasiliani, civili e militari, uomini di paesi lontani che nell’ultimo inverno di guerra combattevano in Italia, “fronte secondario” per gli alti comandi alleati e del III Reich. Troviamo così storie piccole di soldati e famiglie, stragi e scampoli di civiltà, azioni eroiche e vigliaccherie, come in ogni vicenda bellica. Con la differenza che tutto è raccontato dal basso, dal punto di vista della “gente comune”, in un continuo confronto fra narrazioni di episodi conosciuti, e il vissuto di chi si trovò dentro a quel pezzo di storia. In un periodo in cui molte volte la storia è ormai ridotta a sorella povera delle altre discipline scolastiche, la lettura di questo lavoro potrebbe fare comprendere anche alle generazioni più giovani cosa fu il vissuto dei nostri nonni, gli ultimi ormai ad aver osservato in prima persona i fatti narrati; e qui c’è molto di narrazione a livello familiare, forse l’unica capace di coinvolgere, almeno emotivamente, chi è nato decenni dopo quella guerra che finì per attraversare tutto il nostro paese, senza risparmiare nessuno. Dopo settantacinque anni, probabilmente, sarebbe necessario trovare nuovi strumenti didattici ( ad esempio come questo volume) per tenere viva la memoria di quella stagione, ammesso e non concesso che nella società contemporanea la memoria abbia ancora un significato.

Mario Avagliano, Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti, Il Mulino, Bologna, 2020

Avagliano e Palmieri, con la consueta cura e precisione, descrivono una pagina a lungo dimenticata nella storia del nostro paese, ossia quella della resistenza senza armi dei nostri soldati fatti prigionieri (senza diritti) dai nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Il fatto che ci sia stata una “dimenticanza” nei manuali e nelle tante storie più o meno ufficiali del periodo, è un dato certo: non si spiega altrimenti  la miriade di testimonianze diaristiche e da una memorialistica di ogni livello e di ogni genere che fin dall’immediato dopoguerra ha avuto come oggetto gli IMI (internati militari italiani) e come fine l’imperioso desiderio di rendere nota una vicenda dai più ignorata o scarsamente conosciuta; ed effettivamente bisognerebbe chiedersi come si fece a sottovalutare in modo così ingeneroso la sofferenza di seicentomila soldati deportati nel Reich, la loro riduzione in schiavitù tramite fame e violenze fisiche e morali (il leit motiv di ogni ricordo raccolto dagli autori) al fine di aderire al governo del grigio duce di Salò, e successivamente il loro sfruttamento senza pietà dall’apparato industriale bellico di Albert Speer e di Fritz Sauckel, i proconsoli hitleriani addetti alla “guerra totale”. Una vicenda con pagine limpide di eroismo testimoniate dalle decine di migliaia che persero la vita in Germania per tener fede al loro giuramento, e vigliaccherie, come le adesioni al fascismo repubblicano o i piccoli razzismi di casa nostra, con i meridionali senza pacchi viveri, emarginati e ridotti ad una sofferenza ancora più devastante rispetto ai loro connazionali del nord, ai quali era comunque permesso un minimo di assistenza da parte delle famiglie ancora sotto l’occupazione tedesca.  I vari aspetti della vicenda sono esposti in una narrazione senza retorica, lontana dai toni delle commemorazioni ufficiali di questi ultimi anni; anche per questo siamo grati agli autori, i quali aggiungono un nuovo tassello al mosaico della storia dei nostri anni ’40 fra guerra e dopoguerra.

Volker Ullrich, Otto giorni a maggio, Feltrinelli, Milano, 2020

La settimana decisiva per gli equilibri post bellici della seconda guerra mondiale, incredibilmente, è una delle meno studiate dalla storiografia, e forse una di quelle meno conosciute nell’ambito della storia del XX secolo. Per decenni si è fatto coincidere il suicidio di Adolf Hitler con il collasso del Reich e la fine della guerra; in realtà i sette giorni successivi alla morte del Fuehrer, appaiono straordinariamente importanti, con un incrocio di vicende e di fatti ancora in molti casi da esplorare, e furono di guerra combattuta, ancora ferocemente, in mezza Europa. Mentre il governo di Karl Doenitz temporeggiava nell’accademia navale di Flensburg, dotato di pieni poteri civili e militari, centinaia di migliaia di tedeschi cercavano in ogni modo di raggiungere le zone sotto controllo degli angloamericani, e intere armate della Wehrmacht procedevano, con lo stesso obiettivo, verso occidente, per sfuggire ad una vendetta sicura da parte dell’Armata rossa. I collaboratori del terzo Reich ovunque furono sottoposti a rese dei conti cruente e spietate, mentre la cortina di ferro iniziava a calare da Danzica fino a Trieste. Il fatto compiuto, unica legge di guerra, avrebbe avuto risvolti fondamentali dal 1945 fino alla caduta del muro di Berlino, tanto è vero che i confini destinati a restare in piedi fino al 1989 furono quelli stabiliti all’atto della resa firmata a Reims da Wilhelm Keitel e dai suoi collaboratori. Inutili e superflui, infatti, furono gli incontri e le conferenze tenutesi il mese successivo a Berlino: la guerra fredda sostituiva quella combattuta con una sovrapposizione in cui gli scadenziari temporali appaiono privi di senso. Ullrich comprende bene questo passaggio epocale, e scandisce le giornate del maggio 1945 finalmente con l’attenzione che meritano, e che dovrebbero essere il canovaccio per nuovi studi, su una stagione che spiega molte cose dell’Europa di ieri e di oggi.