domenica 25 febbraio 2018

ADDENDA ET CORRIGENDA


A distanza di qualche tempo ripercorro le più importanti uscite storiche dell'ultimo periodo, scusandomi per la periodizzazione un po' altalenante delle uscite, problema che temo non sarà risolto nel prossimo periodo. Spero comunque di offrire ai lettori uno strumento interessante e in qualche modo utile.

L'autore

Mario Avagliano, Marco Palmieri, 1948, Il Mulino, Bologna, 2018

Prosegue il lavoro di rilettura della nostra storia recente da parte dei due autori, e come sempre ci troviamo di fronte a descrizioni ed analisi tutt’altro che banali o convenzionali; lo studio di un anno cruciale per le vicende della nazione, durante il quale entrò in vigore la costituzione, la DC vinse contro il fronte socialcomunista e il paese rischiò di scivolare in una nuova, sanguinosa guerra civile, ha il suo filo conduttore nelle tante italie che affrontavano il durissimo dopoguerra: quella dei mille campanili e di una divisione (che tuttora esiste) fra nord e sud della nazione; quella della forze politiche cattoliche, laiche e socialiste che guardavano a occidente e dello schieramento marxista legato a doppio filo all’Unione sovietica; quella della gente comune, tanta gente comune, che cercò, nonostante tutto e tutti, di rimettere in piedi una nazione stremata e devastata, per farne un posto migliore. E infine, quella di una classe politica che, vista con l’occhio di oggi, pare composta da giganti, anche quando si parla di comprimari. Non possiamo che essere grati ai due studiosi per averci offerto questo nuovo e interessante sguardo su ciò che eravamo, con la speranza di capire meglio ciò che siamo oggi.

Giuseppe Brienza, Cattolici e anni di piombo, Solfanelli, Chieti, 2017

La Democrazia cristiana, da metà degli anni 60 alla fine degli anni 70, ebbe l’ingrato compito di dover assieme governare il paese, progettare il futuro della nazione, e subire contemporaneamente l’ira sanguinaria dell’estremismo politico di sinistra, e dell’odio sociale diffuso a piene mani dopo il 1968 nelle scuole e nelle università. Nonostante questo, il partito ebbe il merito di riuscire a mantenere un livello di dibattito interno degno di rilievo e spesso sottovalutato. Giuseppe Brienza si concentra su uno degli aspetti meno conosciuti di questi fermenti, ossia il progetto gollista e presidenzialista di Bartolo Ciccardini e alla rivista “Europa Settanta”. I frutti di quella discussione purtroppo sono rimasti chiusi in qualche cassetto di un parlamento che conobbe prima il riflusso della partitocrazia, e poi la stentata seconda repubblica post tangentopoli. Ciccardini ha lasciato molto su cui riflettere, e bene ha fatto Brienza a ricordare questo politico cattolico con la schiena dritta, di cui chi scrive ha avuto l’onore di essere amico e collega nella difficile gestione dell’Associazione partigiani cristiani, di cui fu presidente fino alla scomparsa.

Renato Sasdelli, Fascimo e tortura a Bologna, Pendragon, Bologna, 2017

L’autore ritorna, dopo dieci anni dall’interessante Ingegneria in guerra, a narrare la tragica trasformazione di una parte importante del polo universitario bolognese in un centro destinato alla detenzione e alle sevizie dei partigiani del capoluogo. Il lavoro si sviluppa cronologicamente con alcune interessanti premesse riguardanti l’attitudine alla violenza che si riscontrava nelle sedi littorie anche prima dell’armistizio e dell’occupazione tedesca: un rosario di pestaggi, perquisizioni, arresti arbitrari che avevano costellato l’intero ventennio, e che furono la cifra distintiva del fascismo felsineo nel corso della RSI. Sasdelli amplia, con dettagliate schede individuali alcuni dei profili dei maggiori responsabili, la tragica cronaca dei seicento giorni della facoltà di ingegneria sotto le insegne di Salò. Come è facile immaginare, escludendo coloro che furono vittime della giustizia sommaria post 25 aprile e alcuni comprimari, gli esponenti di punta del fascismo bolognese passarono praticamente indenni la stagione delle corti d’assise straordinarie, per ritornare già negli anni ’50 alle proprie professioni. La memoria, purtroppo, non è mai stata la specialità della nostra nazione, nemmeno nelle regioni che hanno fatto, per propaganda ideologica, decenni di antifascismo militante.

Andrea Carlesi, Pistoia nella RSI, Greco&Greco, Milano, 2016

Alcuni dei più consistenti passi avanti nella ricostruzione della tormentata storia di Salò, sono giunti in anni recenti da una serie di studi redatti da studiosi locali, che hanno analizzato pazientemente le vicende del fascismo “in provincia”, ossia nei luoghi dove maggiormente si sentivano gli effetti della policrazia post armistiziale. Andrea Carlesi indaga, con notevole abbondanza di documenti, fonti edite e inedite, e diverse testimonianze, la realtà pistoiese, la quale presenta aspetti inediti e fino ad oggi poco conosciuti. Come altrove il fascismo post armistiziale rinacque con uomini rimasti ai margini nel corso del ventennio, i quali non faticarono a farsi la fama di estremisti, e a circondarsi di collaboratori, spesso giovani e giovanissimi, altrettanto e forse più fanatici degli squadristi “anni ‘20”. I fatti di sangue, assai circoscritti, riguardarono episodi di faide stracittadine o di paese, e il passaggio del fronte, con il tragico episodio del padule di Fucecchio. Le camicie nere, come sappiamo, si ritirarono con i nazisti, e si insediarono a Bormio e, cosa ignota, a Lodi, specie per quanto riguarda i montecatinesi. Entrambi i nuclei si fecero comunque mal volere, proseguendo l’attività antipartigiana fino alle estreme conseguenze, restando spesso vittime delle rappresaglie successive alla liberazione.

AA. VV., Oltre il 1945, Viella, Roma, 2017

Si tratta di un volume collettaneo curato da Enrico Acciai, Guido Panvini, Camilla Poesio, Toni Rovatti, che ha come argomento la transizione fra guerra e dopoguerra al termine del secondo conflitto mondiale. Sia pure apprezzabile, lo studio testimonia il ritardo della storiografia ufficiale rispetto a questo tema, affrontato invece in modo diffuso nell’ultimo ventennio da studiosi non appartenenti al mondo accademico, i quali hanno contribuito a risollevare l’argomento dalle secche ideologiche post resistenziali. Fa riflettere, per ben comprendere l’intonazione generale del testo, l’intervento di Camilla Poesio, la quale scopre la vergogna del campo di concentramento di Coltano oltre un quarto di secolo dopo il pionieristico lavoro di Pietro Ciabattini, che lì era stato internato nell’estate del 1945. L’autrice affronta l’argomento come se nessuno prima di oggi avesse scritto nulla su quei reticolati, vergognosi per un paese che aveva appena conquistato libertà e democrazia. In realtà sul tema molto è stato già detto scritto, certamente non per merito dei ricercatori del mainstream storiografico. Magari, avrebbe giovato se, almeno in nota, si fosse fatto cenno a tutti quelli che hanno dedicato gratuito impegno a portare avanti il dibattito pubblico su questi argomenti.

Daniele Trabucco, Michelangelo de Donà, L’ordinamento giuridico della Repubblica sociale Italiana, Solfanelli, Chieti, 2017

Gli autori affrontano un tema controverso, ossia l’abbozzo, mai pienamente sviluppato di quello che sarebbe dovuta diventare l’architettura costituzionale della repubblica di Mussolini; è, ovviamente, una storia di “wannabe” perché nei diciotto mesi di vita della repubblica lacustre, molto restò sulla carta, fatto salvo un tentativo di applicazione, ormai fuori tempo massimo, delle velleità corporative descritte nel “manifesto di Verona”; i diciotto punti di quel documento dovevano essere la base di discussione per una successiva assemblea costituente, che, come sappiamo, non fu mai convocata. Restano i progetti di carta fondamentale redatti da vari intellettuali vicini al duce di Salò, che una volta letti e corretti, venivano messi agli atti, senza alcun tipo di rispondenza nell’ordinamento giuridico. L’ultimo governo fascista produsse semmai un corposo insieme di decreti con effetto di legge, i quali, questi sì, ebbero conseguenze sulla vita dei cittadini del nord Italia, dall’organizzazione delle forze armate all’architettura amministrativa della nazione, con l’introduzione della figura del “capo della provincia”. Rileggere quel “corpus” fa comprendere che l’azione di governo, effettivamente ci fu, ovviamente condizionata dalla guerra e dall’occupazione tedesca. E che fu tutto sommato esercitata entro limiti non diversi dal governo del re insediatosi a Brindisi …