Siciliani per la libertà
Angelo Sicilia, ,Testimonianze
partigiane, Palermo, Navarra, 2015
Il volume di Angelo Sicilia,
tramite una importante raccolta di testimonianze inedite, colma un vuoto nella
storiografia resistenziale, ossia quello del contributo dei partigiani
siciliani alla liberazione dell’Italia sotto la dominazione nazifascista; in
realtà questa tipologia di ricerca, ossia le storie dei partigiani originari
del Mezzogiorno, appare ancora largamente da affrontare; purtroppo l’assenza di
vicende legate alla guerra di liberazione nel sud del paese ha lasciato la
percezione di una scarsa presenza di meridionali nella guerra patriottica,
mentre invece, come dimostra lo studio in questione, molti gregari, e alcuni
importanti capi partigiani avevano percorsi di limpida militanza antifascista, talvolta
conclusa davanti ai plotoni di esecuzione della macchina repressiva di Salò. Con
pazienza e passione, Angelo Sicilia ha raccolto dai protagonisti di quella
stagione, o dai loro familiari, i ricordi dei tragici mesi che vanno dal
settembre 1943 all’aprile 1945, mettendo in luce una generazione di giovani che
sentirono un moto di ribellione all’occupazione tedesca, sia in patria che
all’estero: dai soldati della divisione “Acqui” a Cefalonia agli internati
militari che soffrirono e morirono nei campi di concentramento tedeschi, dai
fratelli Alfredo e Antonio di Dio, caduti entrambi in battaglia ed entrambi
medaglie d’oro al valor militare, a
Pompeo Colajanni, uno dei grandi comandanti del movimento partigiano
piemontese. Di tutte le storie (molto spesso colpevolmente dimenticate) che
emergono dalla ricerca, ci pare giusto sottolineare un aspetto comune: la
necessità dei siciliani di dover scegliere il proprio campo nella guerra civile
in atto nel nord Italia, senza avere disponibile l’opzione che invece ebbero
tanti cittadini residenti nel settentrione, ossia la possibilità di nascondersi
presso amici o familiari compiacenti in attesa della fine della sanguinosa
burrasca bellica. Sradicati dalla propria terra, spesso con poca o nessuna
conoscenza di territori nei quali perfino i dialetti potevano risultare ostici,
i palermitani, come i catanesi o i messinesi, dovettero mettersi in gioco fin
dalle prime giornate successive all’armistizio, senza potere in alcun modo
tentare di raggiungere la propria casa e i propri affetti, rimasti oltre la
linea del fronte fino dal luglio del 1943. Purtroppo la memoria civile di
questi uomini è tutt’oggi poco coltivata e conosciuta. A maggior ragione appare
meritevole lo sforzo dell’autore per rendere giustizia, quantomeno nel ricordo,
per una generazione che ha pagato a caro prezzo “il biglietto di ritorno” alla
democrazia del proprio paese e dei propri conterranei.
Asti nera
Nicoletta Fasano, Mario Renosio,
Un’altra storia, Asti, Israt, 2015
Nelle aree del paese dove
maggiore è stata la presenza e l’attività partigiana, le ricerche dedicate ai
responsabili e ai gregari dell’ultimo fascismo sono iniziate quasi ovunque con
ritardo pluridecennale, lasciando quindi per un lungo lasso di tempo la
ricostruzione delle vicende dei reparti in camicia nera alla memorialistica
nostalgica, con tutti i limiti del caso: ricostruzioni parziali, imprecise, se
non addirittura agiografiche, che in mancanza di meglio, sono poi
successivamente state recuperate (con scarsa attenzione) in studi di
orientamento antifascista. Per quanto riguarda la provincia di Asti, arriva ora
un lavoro importante sulle strutture politiche e militari della Rsi, grazie
allo scrupoloso studio di Nicoletta Fasano e Mario Renosio, i quali affrontano
con dovizia di documentazione d’archivio e bibliografica le vicende degli
ultimi epigoni del duce in una provincia ribelle al tardivo ritorno di fiamma
del regime sotto le baionette naziste. Il quadro che emerge è quello di una
nascita stentata delle strutture politiche fasciste e una ancora più difficile
ripartenza per i fasci di combattimento, che nel momento di maggiore vigore non
raccoglieranno mai più di qualche decina di squadristi, perlopiù impegnati a
vendicarsi in modo sanguinoso contro i cittadini inermi, venendo quasi sempre
sbaragliati sul campo dalle forti formazioni partigiane delle Langhe e del
Monferrato. Interessante la presenza, sia fra i gregari che fra i capi, di
fanatici fedelissimi provenienti dal Mezzogiorno e dal centro Italia (i soliti
“toscani” che anche in questo caso non faticano a mettersi in luce per la loro
crudeltà), almeno fino a quando nella provincia non giunge la presenza militare
di un reparto ben equipaggiato e perfettamente addestrato della divisione San
Marco, il 3° gruppo esplorante, il quale a tutti gli effetti altro non è che il
2° battaglione del X reggimento arditi del regio esercito, passato armi e
bagagli con i tedeschi immediatamente dopo l’armistizio; gli uomini del tenente
colonnello Vito Marcianò fino alla fine delle ostilità rappresenteranno una
presenza crudele e spietatamente efficiente per mantenere l’ordine nell’Astigiano.
La ricerca, infine, raccoglie in modo davvero meritevole di lode le complesse
vicende giudiziarie dei collaborazionisti di maggiore spicco, e di diversi
comprimari non meno colpevoli, i quali, nella maggior parte dei casi, superata
la bufera dell’epurazione sommaria, verranno con mitezza riammessi nella
società civile dell’Italia liberata. In conclusione non si può che essere grati
a Fasano e Renosio per questo lavoro, tanto pregevole quanto indispensabile per
chiunque voglia affrontare in modo serio e obiettivo la storia della repubblica
fascista in questa parte del Piemonte.
Nazisti e assassini
Carlo Gentile, I crimini di
guerra tedeschi in Italia, Torino, Einaudi, 2015
La sensazione che si ha scorrendo le dense e precise pagine che Carlo
Gentile ci lascia in lettura è che ci si trovi di fronte ad un volume destinato
a segnare un “prima” e un “dopo” rispetto alla storiografia sulle stragi
naziste in Italia. La narrazione, le ricostruzioni e le interpretazioni sono
infatti di eccezionale livello e qualità, e viene da dire finalmente: veniamo
infatti da lustri di instant book editi sulla scia della
cronaca, come nel periodo in cui, una decina di anni fa, l’argomento risorse
dall’oblio assieme alla celebrazione dei processi svoltisi al tribunale
militare di La Spezia. Non si pensi per questo di trovarci di fronte ad
un’opera destinata agli addetti ai lavori, o quantomeno ad un pubblico di
specialisti dell’argomento; l’autore, infatti, ha la capacità di appassionare
anche chi si avvicini all’argomento per la prima volta, conducendolo lungo una
“via dolorosa” che inizia nel Mezzogiorno per terminare nella valle dell’Adige
dopo quasi due anni, eccidio dopo eccidio e strage dopo strage, con un doloroso
canovaccio che unisce tutti i fatti di sangue narrati: i civili assassinati
(donne, vecchi, bambini) spesso in modo barbaro, dalle forze armate naziste.
Ognuno degli episodi narrati viene osservato in modo analitico, facendo in
molti casi chiarezza sugli autori materiali delle efferatezze, quelli che per
decenni – purtroppo – sono stati generalmente definiti “SS” o “divisione
Goering”; fatto salvo scoprire che, forse, se ci fosse stata meno ubiquità e
più precisione forse si sarebbe potuto risalire prima ai reparti coinvolti nei
crimini di guerra. Quantomeno una parola andrebbe spesa sulla vicenda della
“marcia della morte del maggiore Reder”, in realtà un insieme di eccidi in
parte imputabili all’ufficiale nazista, ed altri causati da altri reparti della
16° divisione SS, che ebbe, nella sua interezza, un comportamento ignobile per
tutto il periodo in cui fu presente in Italia: ipotesi che quando fu proposta
suscitò diffidenze e scetticismo, e che ora esce confermata dallo studio di
Gentile, che della Reichsfuehrer traccia
un “case study” per comprendere i motivi di un modo di agire così bestiale. E i
risultati individuati restano come monito non solo per il passato, ma anche per
interpretare il difficile scenario delle guerre di oggi: l’addestramento alla
brutalità, l’imprinting ideologico e la giovanissima età dei tragici
protagonisti delle efferatezze. Fosse anche solo per questa lezione di storia e
memoria civile bisognerebbe essere grati all’autore, oltre ovviamente al fatto
di averci lasciato uno studio destinato a durare.