Narrare l’inenarrabile
Carlo Saletti, Frediano Sessi, Visitare Auschwitz, Venezia, Marsilio, 2011
La scopo che si pongono gli autori è tutt’altro che banale: Il sito che fu il fulcro del sistema eliminazionista del III Reich, può essere oggetto di una guida per i visitatori? In realtà, a leggere questo volume sintetico, ma allo stesso tempo approfondito con scrupolo e aggiornato con le più recenti acquisizioni storiografiche, la risposta è senz’altro positiva. Anzi, ci si permetta di aggiungere che questo supporto dovrebbe essere praticamente obbligatorio per chiunque abbia intenzione di intraprendere la visita del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e del gigantesco apparato dedicato allo sfruttamento di manodopera schiava creato dalle SS.
Saletti e Sessi ci guidano con indagini dettagliate attraverso la storia e la geografia del luogo, tramite itinerari in cui si ricostruiscono le vicende di ogni singola sezione del campo e delle località satelliti in cui si era sviluppata, con rapidità e spietata efficienza, l’industria della morte. Seguendo l’itinerario proposto, ci si avvede come, senza una adeguata preparazione storico-scientifica, il visitatore rischia realmente di capire poco o nulla di quello che effettivamente vede, lasciandosi probabilmente prendere dalle suggestioni e dalle emozioni del luogo. E di storia, anzi, di storie, il volume è veramente denso: l’accurata cronologia dei fatti relativi al periodo 1940-45; le storie dei deportati razziali e politici; le storie del “dopo” necessarie per comprendere come Auschwitz, per la sovrapposizione di vicende che ha tragicamente ospitato, ha tutt’oggi memorie conflittuali per motivi politici, religiosi, sociali e filosofici; la “storia delle storie” del campo della morte, ossia l’evoluzione delle indagini sull’argomento e le relative ramificazioni benigne e maligne (un’ampia sezione è dedicata alle teorie negazioniste); la “storia dei racconti” di Auschwitz, le memorie di chi attraversò il cancello con la scritta Arbeit macht frei; la “storia dei memoriali nazionali”, complessa all’inverosimile, in quanto specchio delle memorie divise del luogo e delle evoluzioni politiche e culturali di tutti gli stati europei e infine la “storia dell’arte” di Auschwitz: come cinema, teatro, musica, poesia, pittura e scultura hanno rappresentato il fondo più nero del ‘900.
Resta, a parer nostro, un “buco” in questo eccellente volume, un vacuum che crediamo sia stato senz’altro voluto dagli autori, cioè l’indagine su chi frequenta oggi questa parte della Polonia per compiere un pellegrinaggio della memoria, ossia soprattutto insegnanti e relative scolaresche. La risposta in parte viene offerta a p. 77, nella non lieta riflessione del filosofo Alain Finkielkraut: “… l’apprendimento di qualcosa ad Auschwitz richiede una conoscenza e una capacità di concentrazione che non sono alla portata dei ragazzi (…) i quali, in inverno, hanno soprattutto la tentazione di fare a palle di neve …” magari dopo aver pianto la lacrimuccia di rito, aggiungiamo noi. Ora, se un diciottenne può avere molte attenuanti per le lacune nelle conoscenze di vicende che pure riguardarono la generazione dei nonni, nella lista di chi va nei pressi dei reticolati guardando l’orologio (o cercando l’inquadratura giusta per la foto di gruppo) occorre inserire molti insegnanti, privi, colpevolmente, anche di un minimo “Bignami” di cosa fu la Shoah.
Non nascondiamoci dietro a un dito: tutti noi che abbiamo avuto a che fare con i docenti delle scuole superiori, magari per svolgere lezioni o seminari su questo tema, ci siamo imbattuti con disarmante frequenza in personale dalle conoscenze fortemente deficitarie sull’argomento (e sulla storia del ‘900 in generale). Pensare che Auschwitz si possa affrontare solo con la buona volontà è invece, a parere degli autori, del tutto sbagliato se non controproducente dal punto di vista pedagogico e civile. E’una opinione che condividiamo appieno.
Winter Line
Vito Paticchia, Marco Boglione, Sulle tracce della Linea Gotica, Cuneo, Fusta, 2011
La guerra in Italia ha lasciato tracce visibili praticamente ovunque, da Cassino fino alle fortificazioni iniziate e non completate della “Linea Blu”, che doveva essere l’ultima trincea difensiva nazista nel nostro paese. Eppure, sino ad oggi, salvo alcuni memoriali sorti soprattutto per la buona volontà di amministrazioni locali, non esiste – a differenza di quanto accade ormai da decenni per i camminamenti della prima guerra mondiale sull’arco alpino – un itinerario storico-geografico che segua il percorso del fronte nell’ultimo fronte di guerra in Italia, la cosiddetta “Linea Gotica” o “Winter Line”.
Lo scopo degli autori, tramite una accurata ricostruzione degli eventi e della planimetria dei luoghi dove avvennero gli episodi salienti del durissimo inverno 1944-45 è appunto quello di creare un filo conduttore anche per questo scenario di guerra. Seguendo da ovest a est la traccia costituita da località, postazioni difensive, trincee, monumenti, piccoli musei, raccolte private, istituti di ricerca storica, Paticchia e Boglione riescono a creare una continuità tra i vari frammenti di un “puzzle” altrimenti sparpagliato su centinaia di chilometri dalle caratteristiche totalmente diverse: le vette delle alpi Apuane, l’Appennino modenese e bolognese, i “gessi” delle colline imolesi, i fiumi della pianura romagnola sino al mare adriatico. Con una certa bravura, e sia pure con la necessità di sintetizzare fatti e situazioni fra loro anche molto diverse (il fronte restò fermo in Garfagnana per oltre sei mesi, mentre in Romagna la precaria linea difensiva germanica sul torrente Senio riuscì a trattenere gli Alleati solo da metà gennaio ai primi di aprile 1945), gli autori riescono finalmente a dare una visione d’insieme ad un teatro di guerra di proporzioni ragguardevoli, che tutt’oggi ha lasciato tracce ben visibili sul territorio.
Il volume è benvenuto anche perché la letteratura storico-militare anglo-americana, ha da sempre considerato il fronte italiano una sorta di “side-show”, rispetto alle vicende della Normandia, di Arnhem o Remagen: solo a considerare le pubblicazioni della prolifica casa editrice Osprey, specializzata nella ricostruzione minuziosa di eventi bellici, a fronte di una dozzina di titoli inerenti singole battaglie del fronte occidentale (tre volumi soltanto sull’offensiva delle Ardenne suddivisa in sotto-settori di dieci chilometri ciascuno!) non si rinviene un singolo studio sulla Linea Gotica o sui fatti salienti ivi avvenuti: non una parola, ad esempio, sull’assalto della 10° divisione da montagna americana ai monti della Riva, che pure rappresentò un episodio praticamente unico di guerra di montagna in Europa, o sulla fallimentare operazione anfibia per conquistare l’Argenta Gap, che costò centinaia di morti ai britannici a meno di una settimana dalla fine delle ostilità.
L’unico rilievo che ci permettiamo di fare agli autori riguarda la situazione delle difese costiere del basso ferrarese e dell’importanza del castello estense di Mesola come centro di coordinamento tedesco per quel settore, dove erano attesi possibili sbarchi alleati. Chi scrive, assieme a Davide Guarnieri, ha svolto ricerche approfondite e dettagliate su quel centro che ospitava una sezione del controspionaggio della Wehrmacht, pubblicate un paio di anni fa nel volume collettaneo “Il libro dei deportati” (2° tomo, Milano, Mursia, 2010): purtroppo nel volume si ignorano completamente i risultati del lavoro, che forse avrebbero illuminato maggiormente anche questa poco conosciuta parte della linea difensiva germanica.
Tra Brescia e Salò
Lodovico Galli, Relazioni e appunti della Repubblica sociale italiana, Arco, Tipolitografia grafica, 2012
Nel leggere questo nuovo e puntuale stato di avanzamento degli studi locali di Lodovico Galli sulla RSI nel Bresciano, viene da pensare che la definizione di “Repubblica di Salò” così vituperata da reduci e nostalgici, in fondo aveva una sua ragione d’essere. La RSI, da quanto si osserva sfogliando le sempre interessanti spigolature dello studioso lombardo, fu effettivamente una entità vitale e tangibile soprattutto nel “piccolo mondo” situato nel triangolo Brescia-Desenzano-Gargnano e negli immediati dintorni.
In questa modesta geografia si svolsero itinerari tragici che andarono a toccare le vicende di militari, civili e autorità locali nel biennio 1943-45 e che trovano spazio e approfondimenti in questo interessante volume: le polemiche e i sotterfugi interni alla breve e cruenta esistenza del PFR, le denunce anonime dirette ai vertici dell’esercito di Graziani, i doppi giochi a cavallo fra fascismo e antifascismo, le corrispondenze sconcertanti (su tutte lo scambio di lettere fra Carolina Ciano e Benito Mussolini della primavera 1944) e le biografie non sempre lineari di molti che in gioventù militarono in camicia nera per poi percorrere traiettorie del tutto diverse nel dopoguerra; tutti temi che dovrebbero far riflettere soprattutto su quanto sia inutile e scarsamente produttivo per gli storici il tirare una riga e poi posizionare i buoni e i cattivi. Galli ad esempio, torna nuovamente sul tema degli “ospiti di lusso” dell’albergo Gnutti di Lumezzane, dove una mezza dozzina di alti gradi dell’esercito regio fatti prigionieri dai tedeschi, furono lasciati in custodia alla polizia della RSI e godettero di attenzioni tutt’altro che malevole per tutti i venti mesi di Salò.
Esemplare su tutte ci è parsa poi la vicenda della infinita gestazione del monumento alle vittime civili dei bombardamenti aerei su Brescia, inaugurato a gennaio 2011 e ulteriore testimonianza di un passato che non passa, di parole che sono parse indicibili se non fastidiose per decenni, nonostante il largo tributo di morte e distruzione causato delle incursioni angloamericane. Eppure la città di Darmstadt, come dimostra Galli tramite il suo carteggio col borgomastro del capoluogo tedesco, gemellato da mezzo secolo con Brescia senza che nessun assessore alla cultura avesse toccato l’argomento, subì un catastrofico bombardamento il 12 settembre 1944, che sfregiò per sempre il centro storico provocando migliaia di morti, sepolti in una fossa comune, oggi segnalata da un monumento-memoriale eretto senza bisogno di inutili e penosi dibattiti politici.
Siamo quindi grati a Lodovico Galli per questa sua nuova e scrupolosa indagine, e ci auguriamo che presto possano giungere ulteriori tasselli da aggiungere al mosaico delle piccole storie indispensabili per capire la “grande” storia.
Carlo Saletti, Frediano Sessi, Visitare Auschwitz, Venezia, Marsilio, 2011
La scopo che si pongono gli autori è tutt’altro che banale: Il sito che fu il fulcro del sistema eliminazionista del III Reich, può essere oggetto di una guida per i visitatori? In realtà, a leggere questo volume sintetico, ma allo stesso tempo approfondito con scrupolo e aggiornato con le più recenti acquisizioni storiografiche, la risposta è senz’altro positiva. Anzi, ci si permetta di aggiungere che questo supporto dovrebbe essere praticamente obbligatorio per chiunque abbia intenzione di intraprendere la visita del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau e del gigantesco apparato dedicato allo sfruttamento di manodopera schiava creato dalle SS.
Saletti e Sessi ci guidano con indagini dettagliate attraverso la storia e la geografia del luogo, tramite itinerari in cui si ricostruiscono le vicende di ogni singola sezione del campo e delle località satelliti in cui si era sviluppata, con rapidità e spietata efficienza, l’industria della morte. Seguendo l’itinerario proposto, ci si avvede come, senza una adeguata preparazione storico-scientifica, il visitatore rischia realmente di capire poco o nulla di quello che effettivamente vede, lasciandosi probabilmente prendere dalle suggestioni e dalle emozioni del luogo. E di storia, anzi, di storie, il volume è veramente denso: l’accurata cronologia dei fatti relativi al periodo 1940-45; le storie dei deportati razziali e politici; le storie del “dopo” necessarie per comprendere come Auschwitz, per la sovrapposizione di vicende che ha tragicamente ospitato, ha tutt’oggi memorie conflittuali per motivi politici, religiosi, sociali e filosofici; la “storia delle storie” del campo della morte, ossia l’evoluzione delle indagini sull’argomento e le relative ramificazioni benigne e maligne (un’ampia sezione è dedicata alle teorie negazioniste); la “storia dei racconti” di Auschwitz, le memorie di chi attraversò il cancello con la scritta Arbeit macht frei; la “storia dei memoriali nazionali”, complessa all’inverosimile, in quanto specchio delle memorie divise del luogo e delle evoluzioni politiche e culturali di tutti gli stati europei e infine la “storia dell’arte” di Auschwitz: come cinema, teatro, musica, poesia, pittura e scultura hanno rappresentato il fondo più nero del ‘900.
Resta, a parer nostro, un “buco” in questo eccellente volume, un vacuum che crediamo sia stato senz’altro voluto dagli autori, cioè l’indagine su chi frequenta oggi questa parte della Polonia per compiere un pellegrinaggio della memoria, ossia soprattutto insegnanti e relative scolaresche. La risposta in parte viene offerta a p. 77, nella non lieta riflessione del filosofo Alain Finkielkraut: “… l’apprendimento di qualcosa ad Auschwitz richiede una conoscenza e una capacità di concentrazione che non sono alla portata dei ragazzi (…) i quali, in inverno, hanno soprattutto la tentazione di fare a palle di neve …” magari dopo aver pianto la lacrimuccia di rito, aggiungiamo noi. Ora, se un diciottenne può avere molte attenuanti per le lacune nelle conoscenze di vicende che pure riguardarono la generazione dei nonni, nella lista di chi va nei pressi dei reticolati guardando l’orologio (o cercando l’inquadratura giusta per la foto di gruppo) occorre inserire molti insegnanti, privi, colpevolmente, anche di un minimo “Bignami” di cosa fu la Shoah.
Non nascondiamoci dietro a un dito: tutti noi che abbiamo avuto a che fare con i docenti delle scuole superiori, magari per svolgere lezioni o seminari su questo tema, ci siamo imbattuti con disarmante frequenza in personale dalle conoscenze fortemente deficitarie sull’argomento (e sulla storia del ‘900 in generale). Pensare che Auschwitz si possa affrontare solo con la buona volontà è invece, a parere degli autori, del tutto sbagliato se non controproducente dal punto di vista pedagogico e civile. E’una opinione che condividiamo appieno.
Winter Line
Vito Paticchia, Marco Boglione, Sulle tracce della Linea Gotica, Cuneo, Fusta, 2011
La guerra in Italia ha lasciato tracce visibili praticamente ovunque, da Cassino fino alle fortificazioni iniziate e non completate della “Linea Blu”, che doveva essere l’ultima trincea difensiva nazista nel nostro paese. Eppure, sino ad oggi, salvo alcuni memoriali sorti soprattutto per la buona volontà di amministrazioni locali, non esiste – a differenza di quanto accade ormai da decenni per i camminamenti della prima guerra mondiale sull’arco alpino – un itinerario storico-geografico che segua il percorso del fronte nell’ultimo fronte di guerra in Italia, la cosiddetta “Linea Gotica” o “Winter Line”.
Lo scopo degli autori, tramite una accurata ricostruzione degli eventi e della planimetria dei luoghi dove avvennero gli episodi salienti del durissimo inverno 1944-45 è appunto quello di creare un filo conduttore anche per questo scenario di guerra. Seguendo da ovest a est la traccia costituita da località, postazioni difensive, trincee, monumenti, piccoli musei, raccolte private, istituti di ricerca storica, Paticchia e Boglione riescono a creare una continuità tra i vari frammenti di un “puzzle” altrimenti sparpagliato su centinaia di chilometri dalle caratteristiche totalmente diverse: le vette delle alpi Apuane, l’Appennino modenese e bolognese, i “gessi” delle colline imolesi, i fiumi della pianura romagnola sino al mare adriatico. Con una certa bravura, e sia pure con la necessità di sintetizzare fatti e situazioni fra loro anche molto diverse (il fronte restò fermo in Garfagnana per oltre sei mesi, mentre in Romagna la precaria linea difensiva germanica sul torrente Senio riuscì a trattenere gli Alleati solo da metà gennaio ai primi di aprile 1945), gli autori riescono finalmente a dare una visione d’insieme ad un teatro di guerra di proporzioni ragguardevoli, che tutt’oggi ha lasciato tracce ben visibili sul territorio.
Il volume è benvenuto anche perché la letteratura storico-militare anglo-americana, ha da sempre considerato il fronte italiano una sorta di “side-show”, rispetto alle vicende della Normandia, di Arnhem o Remagen: solo a considerare le pubblicazioni della prolifica casa editrice Osprey, specializzata nella ricostruzione minuziosa di eventi bellici, a fronte di una dozzina di titoli inerenti singole battaglie del fronte occidentale (tre volumi soltanto sull’offensiva delle Ardenne suddivisa in sotto-settori di dieci chilometri ciascuno!) non si rinviene un singolo studio sulla Linea Gotica o sui fatti salienti ivi avvenuti: non una parola, ad esempio, sull’assalto della 10° divisione da montagna americana ai monti della Riva, che pure rappresentò un episodio praticamente unico di guerra di montagna in Europa, o sulla fallimentare operazione anfibia per conquistare l’Argenta Gap, che costò centinaia di morti ai britannici a meno di una settimana dalla fine delle ostilità.
L’unico rilievo che ci permettiamo di fare agli autori riguarda la situazione delle difese costiere del basso ferrarese e dell’importanza del castello estense di Mesola come centro di coordinamento tedesco per quel settore, dove erano attesi possibili sbarchi alleati. Chi scrive, assieme a Davide Guarnieri, ha svolto ricerche approfondite e dettagliate su quel centro che ospitava una sezione del controspionaggio della Wehrmacht, pubblicate un paio di anni fa nel volume collettaneo “Il libro dei deportati” (2° tomo, Milano, Mursia, 2010): purtroppo nel volume si ignorano completamente i risultati del lavoro, che forse avrebbero illuminato maggiormente anche questa poco conosciuta parte della linea difensiva germanica.
Tra Brescia e Salò
Lodovico Galli, Relazioni e appunti della Repubblica sociale italiana, Arco, Tipolitografia grafica, 2012
Nel leggere questo nuovo e puntuale stato di avanzamento degli studi locali di Lodovico Galli sulla RSI nel Bresciano, viene da pensare che la definizione di “Repubblica di Salò” così vituperata da reduci e nostalgici, in fondo aveva una sua ragione d’essere. La RSI, da quanto si osserva sfogliando le sempre interessanti spigolature dello studioso lombardo, fu effettivamente una entità vitale e tangibile soprattutto nel “piccolo mondo” situato nel triangolo Brescia-Desenzano-Gargnano e negli immediati dintorni.
In questa modesta geografia si svolsero itinerari tragici che andarono a toccare le vicende di militari, civili e autorità locali nel biennio 1943-45 e che trovano spazio e approfondimenti in questo interessante volume: le polemiche e i sotterfugi interni alla breve e cruenta esistenza del PFR, le denunce anonime dirette ai vertici dell’esercito di Graziani, i doppi giochi a cavallo fra fascismo e antifascismo, le corrispondenze sconcertanti (su tutte lo scambio di lettere fra Carolina Ciano e Benito Mussolini della primavera 1944) e le biografie non sempre lineari di molti che in gioventù militarono in camicia nera per poi percorrere traiettorie del tutto diverse nel dopoguerra; tutti temi che dovrebbero far riflettere soprattutto su quanto sia inutile e scarsamente produttivo per gli storici il tirare una riga e poi posizionare i buoni e i cattivi. Galli ad esempio, torna nuovamente sul tema degli “ospiti di lusso” dell’albergo Gnutti di Lumezzane, dove una mezza dozzina di alti gradi dell’esercito regio fatti prigionieri dai tedeschi, furono lasciati in custodia alla polizia della RSI e godettero di attenzioni tutt’altro che malevole per tutti i venti mesi di Salò.
Esemplare su tutte ci è parsa poi la vicenda della infinita gestazione del monumento alle vittime civili dei bombardamenti aerei su Brescia, inaugurato a gennaio 2011 e ulteriore testimonianza di un passato che non passa, di parole che sono parse indicibili se non fastidiose per decenni, nonostante il largo tributo di morte e distruzione causato delle incursioni angloamericane. Eppure la città di Darmstadt, come dimostra Galli tramite il suo carteggio col borgomastro del capoluogo tedesco, gemellato da mezzo secolo con Brescia senza che nessun assessore alla cultura avesse toccato l’argomento, subì un catastrofico bombardamento il 12 settembre 1944, che sfregiò per sempre il centro storico provocando migliaia di morti, sepolti in una fossa comune, oggi segnalata da un monumento-memoriale eretto senza bisogno di inutili e penosi dibattiti politici.
Siamo quindi grati a Lodovico Galli per questa sua nuova e scrupolosa indagine, e ci auguriamo che presto possano giungere ulteriori tasselli da aggiungere al mosaico delle piccole storie indispensabili per capire la “grande” storia.