Federico Ciavattone, Arditi in Sicilia, Archivio
Storia, Fidenza, 2021
L’autore, esperto di storia militare, narra per la prima
volta la vicenda di uno dei pochi reparti d’elite delle forze armate regie,
ossia il X reggimento arditi, una formazione volontaria di elementi scelti,
addestrati alla guerra non convenzionale e ad azioni simili a quelle dei
commando britannici o tedeschi. L’impiego fu frammentario, e praticamente si
concluse nel corso del luglio 1943 all’ombra dell’Etna, con risultati notevoli
dal punto di vista tattico, ma sostanzialmente inutili a cambiare l’esito della
campagna di Sicilia, ormai destinata, per le forze dell’Asse a concludersi in
modo catastrofico. Una storia che dimostra, una volta di più, come il regime
avesse plasmato il nostro esercito secondo la retorica dei “milioni di
baionette” senza minimamente avere intuito i canoni della guerra moderna, fatta
anche di azioni di guerriglia, controguerriglia, sabotaggio e incursioni
mirate. “Too little, too late”: fu troppo poco, e troppo tardi.
Mario Avagliano-Marco Palmieri, Paisà, sciuscià e
segnorine, Il Mulino, Bologna, 2021
Mario Avagliano e Marco Palmieri continuano la loro indagine
sull’Italia fra guerra e dopoguerra, con rigore e assieme partecipazione umana,
narrando il dolore del Mezzogiorno: un popolo brutalizzato dai tedeschi in
ritirata dopo l’armistizio e trattato in modo sprezzante da americani e
(soprattutto) inglesi; uomini e donne oggetti, infine, delle violenze di massa
delle truppe nordafricane al comando dei francesi, su cui si stese,
velocemente, un muro di omertà istituzionale. Cosa sapeva il Settentrione,
diviso fra guerra civile e movimento di liberazione, di questa situazione? Poco
o nulla, tanto è vero che emerge con chiarezza il pregiudizio (antico) sociale
e politico verso il sud della nazione. Gli autori riescono nell’intento di
offrire al lettore un affresco fatto di chiaroscuri, in cui la vitalità di una
parte del paese convisse con fame, degrado, umiliazioni e vessazioni.
Chiara Colombini, Anche i partigiani però…, Editori
Laterza, Bari-Roma, 2021
La resistenza è sotto attacco e va difesa; questa in estrema
sintesi la tesi dell’autrice. In realtà, quello che negli ultimi venti anni è stato
oggetto di revisione (non di “attacco”) è stata la valutazione del
comportamento del partito comunista durante e dopo la fine della guerra in
Italia. La differenza valoriale tra le parti in causa, non ci pare sia mai stata
messa in discussione, se non tra frange estreme, non presenti e non
rappresentate politicamente. Sono invece le centinaia di omissioni degli aspetti
più controversi della guerra civile ad aver creato l’humus su cui l’attenzione
dell’opinione pubblica si è andata a concentrare col trascorrere degli anni: nessuno
obbligava generazioni di storici a evitare gli angoli bui della guerra civile almeno
fino agli studi di Claudio Pavone; Se alla fine la pentola è stata
scoperchiata, di certo non è colpa di un complotto antidemocratico, ma della
parzialità con cui la storia di quei mesi è stata raccontata per decenni.
Charles Messenger, Il gladiatore di Hitler, Italia
Storica, Genova, 2021
L’edizione italiana di questo eccellente lavoro di Charles
Messenger, storico militare scomparso nel 2017, esce a venti anni dalla prima
edizione inglese; lo studio è al momento l’unica biografia scientifica di
Joseph “Sepp” Dietrich, guardia del corpo di Adolf Hitler che fu comandante per
oltre un decennio della “Leibstandarte Adolf Hitler”, la prima divisione delle
SS. Il profilo umano di questo sergente dell’esercito del Kaiser che concluse
la seconda guerra mondiale da generale d’armata, ha diversi aspetti di
interesse: incolto ma amato dai suoi soldati, inadeguato ai compiti di comando
ma carismatico assai più del suo capo Heinrich Himmler, rappresentava in fondo
l’ideale del soldato politico del Reich. L’autore si riserva il giudizio sulle
responsabilità dirette nelle atrocità commesse dai suoi uomini, e questa fu la
sentenza della giustizia americana che dopo qualche anno lo rimise in libertà: dimostrazione
che non solo in Italia fu larga la manica verso i guerrieri ideologici del
“nuovo ordine” europeo.
H. James Burgwyn, Mussolini e la repubblica di Salò, Castelvecchi,
Roma, 2021
L’autore si era già occupato del regime fascista durante la
seconda guerra mondiale nel suo precedente L’impero
sull’Adriatico (LEG, Gorizia, 2006) e questo volume potrebbe essere il
seguito ideale della precedente ricerca. Il lavoro, costruito su una
bibliografia di alterna qualità (si trovano citati assieme studi scientifici e
altre pubblicazioni di taglio giornalistico) poco però aggiunge alla
storiografia più recente: Mussolini appare debole e incerto, da un lato in
balìa dei fascisti intransigenti e dall’altro schiacciato sotto il peso degli
occupanti nazisti; vorrebbe emanciparsi dall’alleato occupante, ma in fondo non
nasconde la propria stima per Adolf Hitler e la radicalità della guerra totale
(anche per quanto riguarda lo sterminio degli ebrei). Forse Burgwyn pecca di
provincialismo nel finale, quando afferma che gli scritti di Giampaolo Pansa hanno
dato il “la” ad una reviviscenza del fascismo in Italia, dimenticando che,
forse, i silenzi politici della sinistra sulle violenze postbelliche hanno
fatto più male alla sinistra stessa che le pubblicazioni di un bravo
giornalista.
Alberto Leoni, O tutti o nessuno!, Ares, Milano, 2021
Le vicende dei sacerdoti emiliani e romagnoli caduti durante
la seconda guerra mondiale non ha mai conosciuto particolare successo
storiografico; in genere gli studi, per la maggior parte biografici, si sono
concentrati su singole figure, vittime delle violenze naziste, fasciste e
comuniste, o hanno cercato di inquadrare il movimento cattolico della regione
nel quadro più ampio del passaggio fra guerra e dopoguerra. Leoni,
meritevolmente, ha raccolto e annotato i profili dei 123 prelati morti per
cause belliche fra il 1940 e il 1945; 14 cappellani militari, 37 uccisi da
tedeschi o dai fascisti, 27 da partigiani o ex partigiani e ben 45 per i
bombardamenti aerei. Forse, fra tutti, quest’ultimo dato dovrebbe fare
maggiormente riflettere su queste biografie, per fare comprendere come i
pastori in nessun caso si allontanarono dal loro gregge. Anzi, in molti casi
per i propri fedeli vissero, soffrirono e, talvolta, morirono.
Giacomo Pacini, La spia intoccabile, Einaudi, Torino,
2021
La storia di Federico Umberto d’Amato, narrata pregevolmente
da Pacini, è la dimostrazione di come il transito dalla guerra al dopoguerra,
per quanto concerne le forze dell’ordine del nostro paese, fu assai più fluido
di come è stato fino a oggi narrato; per quello che concerne poi i servizi di
informazione del ministero dell’Interno, il passaggio fra fascismo, monarchia e
repubblica, rappresentò sostanzialmente un “continuum”, con la
cristallizzazione nei propri ruoli di chi si era ricavato spazi di potere negli
anni di più intensa collaborazione con gli alleati atlantici fra gli anni
quaranta e cinquanta. D’Amato fu protagonista di questa continuità, agendo
spesso in assoluta autonomia rispetto ai governi che si sono susseguiti nel nostro
paese, almeno fino a metà degli anni settanta. L’autore, correttamente, non ci
lascia sentenze definitive sul personaggio, ma indubbiamente l’interpretazione
di alcune pagine di storia recente, dal golpismo, allo stragismo, al terrore
rosso e nero degli anni di piombo, risulta ben diversamente illuminata dopo la
lettura del volume.