Federico Ciavattone, Brigate nere, Milano, Lo Scarabeo, 2012
Bisogna essere grati ai giovani studiosi come Federico Ciavattone, perché è soprattutto dai loro lavori che si aggiungono nuove conoscenze sulla repubblica di Salò e le sue milizie. Il lavoro dello studioso pisano fa finalmente luce sulle brigate nere mobili e operative, ossia le formazioni del PFR che maggiormente furono impiegate nella repressione antipartigiana fra il 1944 e il 1945. Indagando in modo meticoloso sulla formazione, lo sviluppo e l’utilizzo di queste unità, l’autore riesce a offrirci un quadro finalmente dettagliato, in cui non mancano sorprese; altre probabilmente ne arriveranno, in futuro, poichè questo volume è il primo di una serie che riguarderà anche le oltre quaranta brigate nere territoriali operanti nel nord Italia.
Il quadro offerto appare di indubbio interesse: le brigate nere “speciali” ebbero un ruolo fondamentale nella Bandenkrieg del tragico inverno 1944-45. Reclutate fra i volontari più giovani e i veterani più fanatici, questi reparti, estremamente mobili, furono gli indispensabili strumenti dell’alto comando delle SS e della polizia nazista per rintuzzare e, in alcune province, quasi azzerare l’attività resistenziale. Di particolare interesse ci paiono alcune vicende individuate nel volume: viene confermata l’importanza degli sfollati fascisti provenienti dal centro Italia, fra i quali spiccano, oltre ai “soliti” toscani, un agguerrito gruppo di camicie nere romane, riunite nel battaglione Tevere che fu parte della brigata nera operativa Garibaldi sino al termine della guerra. Altro elemento inedito è il ruolo fondamentale che ebbe il feroce Odilo Globocnik, comandante in capo delle SS nel Litorale adriatico sotto pieno dominio nazista, nella costituzione della 2° brigata nera mobile Mercuri con sede a Padova. In teoria si tratterebbe di un evidente conflitto di autorità con Karl Wolff, visto che l’autorità di Globocnik si esauriva al confine con le province di Treviso e Vicenza. Evidentemente anche questa vicenda fa capire quanto sia rimasto da approfondire sull’argomento.
La pubblicazione si avvale infine di un ricco apparato iconografico, in gran parte inedito, e da tavole a colori di sicuro interesse per gli esperti di militaria. Ciavattone è un giovane di sicure capacità e tutto lascia intuire che possa offrirci nuove, interessanti prove, a partire dal completamento di questa opera riguardante gli ultimi in camicia nera.
La politica della repubblica occupata
Amedeo Osti Guerrazzi, Storia della Repubblica Sociale Italiana, Roma, Carocci, 2012
L’agile sintesi di Osti Guerrazzi dedicata all’ultima palingenesi mussoliniana, mette a fuoco alcuni elementi fondamentali del tragico biennio 1943-45: la collaborazione subordinata all’alleato-occupante, la stentata ricerca di consenso politico e, dall’estate 1944, la guerra ai civili tramite la militarizzazione del partito fascista nelle brigate nere, segno estremo del fallimento di ogni proposta istituzionale e, assieme, adesione definitiva al progetto hitleriano della guerra totale, in nome di una ideologia divenuta ormai estranea alla quasi totalità del popolo italiano.
Queste fasi, ben delineate nello sviluppo dell’opera, hanno il pregio di attingere (finalmente) alle più recenti acquisizioni storiografiche sull’argomento, che, come abbiamo più volte sottolineato, sono frutto di lunghi e faticosi processi di ricerca svolti da studiosi non accademici, o comunque non strutturati all’interno del mondo universitario italiano; doveroso riconoscimento a chi oggi non ha alcuna opportunità di consolidare la propria posizione lavorativa nel mondo dell’università.
Osti Guerrazzi offre una ampia selezione bibliografica e documentaria a sostegno delle proprie tesi (anche se i “bollettini Z” spesso citati nel testo potrebbero essere meglio qualificati); ci permettiamo alcuni rilievi: come abbiamo spesso sostenuto, il concetto di “bande autonome” per definire la complicata galassia dei reparti collaborazionisti italiani, è erroneo, in quanto non una di queste formazioni aveva alcuna “autonomia” che non fosse delegata da una autorità tedesca di occupazione. Inoltre ci sembra davvero drastico ridurre l’attività politica di Salò al solo periodo inverno-estate 1944, dedicando solo le ultime pagine a quanto avvenne nell’ultimo semestre della stentata vita della RSI, non fosse altro perché fu in quel periodo che vennero gettati i semi di quello che sarebbe stato il post-fascismo, e nello stesso tempo, ci furono inconfessati (e imbarazzanti) “do ut des” fra nazisti, autorità repubblichine e antifascisti. Ridurre tutto questo a folklore, come nel caso della dichiarata alleanza fra i socialisti Carlo Silvestri e Corrado Bonfantini, ci pare davvero un po’ troppo autoassolutorio.
Infine, un’ultima personalissima valutazione: sarà anche vero, come Osti Guerrazzi sostiene, che in Francia scoppierebbe uno scandalo se fossero messi in vendita calendari dedicati a Philippe Petain con la stessa capillarità con cui troviamo Mascellone di Predappio nelle nostre edicole. in realtà la scarsa diffusione iconografica del "Marechal" è in gran parte dovuta al fatto che i movimenti giovanili di estrema destra d’oltralpe preferiscono i gadget dedicati alle SS della Charlemagne ...
Il sud dimenticato
Gigi di Fiore, Controstoria della liberazione, Milano, Rizzoli, 2012
A tutti gli effetti quella di Gigi di Fiore è una cronaca giornalistica e non una ricerca storica, ma ha il grande pregio della sintesi e della chiarezza; l’autore riunisce storie forse non sempre congrue, e probabilmente non sempre affidate alle ricostruzioni migliori e più documentate, ma ha il pregio di affondare senza remore la dolorosa lama della memoria (rimossa) dei crimini compiuti nel Mezzogiorno dalle forze alleate nel nostro paese.
Gli episodi narrati da di Fiore sono noti, se non notissimi al grande pubblico: gli stupri di massa compiuti dai nordafricani incorporati nel corpo di spedizione francese in Ciociaria, il disinvolto utilizzo di famigerati componenti della mafia italoamericana al fine di facilitare lo sbarco alleato in Sicilia, e le violazioni della convenzione di Ginevra per il trattamento dei prigionieri di guerra, che punteggiarono le prime settimane di occupazione del nostro paese.
Quest’ultima vicenda ci appare quella degna di maggiore attenzione, anche perché tratteggiata in modo dettagliato ed efficace; le fucilazioni sommarie di decine di nostri soldati dopo la resa avvenute a Biscari, Canicattì e Comiso da parte di soldati della 45° divisione di fanteria americana, furono episodi disgustosi (e non casuali), indegni di una nazione civile; chi coprì quelle azioni, avvallandole, ossia George Patton, comandante della 7° armata USA, a parer nostro, non ebbe nelle parole e nei modi comportamento diverso da Albert Kesselring, almeno per quanto concerne la campagna di Sicilia; l’invito a non avere scrupoli e soprattutto a “coprire gli eccessi” ci pare fattore determinante per comprendere i fatti in questione. Si dirà che la giustizia militare americana comunque giudicò e punì i colpevoli (peraltro in modo diseguale e discutibile); resta il fatto che i tragici eventi descritti nel volume avvennero per precise responsabilità di capi rimasti impuniti per l’intero corso della guerra.
Tutto ciò non andava detto non oggi, ma decenni fa, ma nessuno l'ha fatto in modo strutturato e analitico, con la stessa passione con cui si sono affrontati i crimini nazisti; generazioni di studiosi hanno avuto tempo, modo, fortuna e – non ultimo – fondi economici per tratteggiare in modo pressoché definitivo la storia della liberazione del nostro paese fra il 1943 e 1945, ma hanno ignorato questo ed altri sgradevoli episodi della guerra sul territorio nazionale. Chi ha evitato di affrontare per questi argomenti, spesso per distrazione o per convinzioni ideologiche, e oggi critica l’“uso politico della storia”, ci pare davvero che faccia sfoggio di una robusta coda di paglia.
L’opera di Gigi di Fiore probabilmente non passerà alla storia; ma la storia, ci auguriamo, potrà fare buon uso degli spunti che giungono dalla sintesi appassionata e addolorata di questo studioso.