Andrea Vezzà, I ragazzi di Quai de Bacalan, Milano, Ritter, 2012
L’archivio di Carlo Alfredo Panzarasa è da decenni una imprescindibile fonte di informazioni per chiunque si voglia avvicinare alla complessa vicenda della X Mas nella RSI; soprattutto l’imponente raccolta iconografica (centinaia di fotografie scattate dall’autore nel corso della sua giovanissima militanza nella RSI) è stata utilizzata da autori di ogni ispirazione e tendenza ideologica per offrire uno spaccato visivo del biennio 1943-45. Vezzà raccoglie in questo volume il frutto di una lunga intervista con Panzarasa, la cui singolare vicenda umana, viene per la prima volta narrata in modo dettagliato.
Figlio di ricchi emigrati in Francia, Panzarasa nasce e cresce a Parigi, dove per convinzioni familiari e personali, conosce una precoce militanza politica nell’estrema destra del Francisme di Marcel Bucard, assieme ad altri giovanissimi italofrancesi; al momento dell’armistizio il diciassettenne Panzarasa è nella sparuta pattuglia che riapre la sede del fascio nella capitale transalpina, venendo successivamente inquadrato, in modo provvisorio, fra chi intende proseguire in armi la guerra assieme ai nazisti (è presente la copia del porto d’armi rilasciato dal comando SD parigino). Nell’inverno 1943-44, diverse decine di giovanissimi italiani di Francia confluiranno, grazie ai canali del reclutamento tedesco, prima a Parigi, e poi, dopo una travagliata serie di ordini contrastanti, alla base della marina italiana di Bordeaux (Betasom) passata in modo praticamente totalitario alla Kriegsmarine di Karl Doenitz grazie ai buoni uffici di Enzo Grossi, uno dei primissimi aderenti alla repubblica mussoliniana, e discutibile sommergibilista. Qui i giovani emigrati di fede fascista sono riuniti e addestrati come fanti di marina; le motivazioni del volontarismo sotto il fascio littorio sono le più disparate: autentica passione per Mussolini, ma soprattutto indispettita reazione nei confronti dei coetanei transalpini dopo anni di angherie e discriminazioni nello studio e sul lavoro. Sommariamente istruiti ed equipaggiati, sono poi rimandati in Italia e inseriti nella X Mas di Valerio Borghese, dove vengono impegnati sui sanguinosi fronti della guerra civile: Veneto, Piemonte (dove Panzarasa documenta l’impiccagione a Ivrea del partigiano Ferruccio Nazionale, in una sequenza destinata a passare tragicamente alla storia, qui riprodotta da sinistre angolazioni), e il Friuli, dove i giovanissimi italofrancesi sono decimati nella battaglia di Tarnova, presso Gorizia, contro i partigiani sloveni, fino alla resa nel Vicentino.
Il volume, facendo la tara al taglio agiografico, si rivela comunque un utile strumento per comprendere una vicenda minoritaria e a tutt’oggi poco conosciuta, ossia quella dell’adesione alla RSI da parte degli italiani residenti in Francia. Panzarasa si rivela un narratore preciso e non incline all’autoindulgenza, anche negli episodi più scabrosi della guerra contro il movimento di liberazione. Indicativa comunque una dichiarazione del reduce di Salò: i suoi ex commilitoni gli procurarono “diverse grane” per la vicenda delle foto scattate a Ivrea. Evidentemente alcuni ritenevano (o ritengono tuttora) che il lato buio di quel periodo non andasse in alcun modo illuminato…
Donne in camicia nera
Roberta Cairoli, Dalla parte del nemico, Milano, Mimesis, 2013
La militanza femminile a Salò è argomento che nell’ultimo decennio ha conosciuto nuovi e interessanti impulsi storiografici, anche se – in questo come in altri versanti delle vicende dell’ultimo fascismo – la ricerca scientifica è giunta dopo anni di ritardi e omissioni, lasciando spesso il campo della discussione pubblica in mano all’agiografia e soprattutto alla letteratura reducistica. La ricerca di Roberta Cairoli si basa in gran parte su materiale inedito, principalmente riconducibile a due fonti: le carte delle corti d’assise straordinarie, attraverso le quali si snodarono le vicende giudiziarie di molte donne fasciste, e la documentazione del controspionaggio alleato, che intercettò la quasi totalità delle giovani spie inviate oltre la linea del fronte; il risultato ci è parso talvolta disomogeneo, forse proprio a causa di questa tipologia di carte, che pure illuminano in modo crudo e realistico una stagione di volontarismo idealista e ingenuo, e assieme irresponsabile e fanatico. Nella lunga sequenza di sentenze postbelliche, come spesso accade, si trova davvero di tutto e di tutto un po’. Come altre volte in passato, a nostro modesto avviso, ci pare che il filone “giudiziario” finisca spesso per diventare una lunga carrellata di nequizie spesso scollegate fra loro, in cui rinvenire un filo conduttore è impresa complessa; anche pensare di raccogliere i vari casi in una classificazione di massima (volontarie, ausiliarie, delatrici, ecc…) si rivela non sempre utile quando si entra nei singoli casi, che spesso, invece di suscitare la riprovazione del lettore, muovono alla constatazione delle miserie umane presenti in ogni epoca: amanti tradite, spie per bisogno, mercenarie senza scrupoli, donne con psicologie “borderline”, e – certamente – anche cieche ammiratrici del duce, disposte a uccidere e essere uccise nel nome di Mussolini.
Diversa e più interessante la parte che ricostruisce la rete spionistica delle reclutatrici e delle informatrici al servizio dei nazisti, che sotto le sigle più assurde (dalle “volpi argentate” alla “compagnia del fascio crociato”) decisero di mettere il proprio non sempre elevato ingegno per la causa delle forze armate dell’asse. Il quadro che la Cairoli mette a nudo è esemplare: da un lato una organizzazione, quella dello spionaggio tedesco, senza alcuno scrupolo e dotata di ingenti mezzi finanziari e di una ramificata e complessa rete di collaboratori; dall’altro una accolita di ingenue fanatiche, sfruttate senza pietà da professionisti dell’intelligence, le quali quasi sempre non si accorsero ne’ allora ne’ oggi di essere state incoscienti pedine di un gioco immensamente più grande di loro. Ed è proprio su questa incapacità di affrontare il “dopo” che troviamo le riflessioni più interessanti, in quanto inquadrano un tratto tipico della letteratura dei reduci di Salò, ossia il “present continuous” della propria militanza giovanile, quasi che i sette decenni successivi alle proprie scelte di diciottenni o diciassettenni siano stati un inutile appendice a una avventura vissuta in modo estremo nell’arco di poco più di un anno, fra l’armistizio e la Liberazione dell’aprile.
Il sangue della “Tagliamento”
Sonia Residori, Una Legione in armi, Vicenza, Cierre, 2013
Esistono studi che tracciano un “prima” e un “dopo” rispetto allo stato generale della ricerca storica. Non crediamo di esagerare nel dire che la certosina ricerca di Sonia Residori, segna (finalmente, diciamo noi) una linea di confine dopo decenni di approssimative ricostruzioni agiografiche e – purtroppo – altrettanto superficiali narrazioni di ambito resistenziale. A settanta anni dalla costituzione del reparto, finalmente troviamo un racconto organico della sanguinosa vicenda della legione camicie nere M “Tagliamento”, forse l’unica formazione organica che dall’autunno 1943 fino alla primavera 1945 ebbe come unico compito esclusivo la lotta spietata contro il movimento di liberazione. La ricostruzione non è stata agevole, sia per la carenza documentaria (quasi tutte le carte riferite al reparto vennero distrutte al momento del suo scioglimento a Revò, nei pressi del passo della Mendola, ai primi di maggio del 1945) sia per gli spostamenti dell’unità, nata dall’ammutinamento, avvenuto a Bagni di Tivoli, di alcune compagnie della divisione corazzata “M” dopo l’armistizio, e successivamente dislocata nel Bresciano, a Vercelli, nei pressi di Pesaro, nel Vicentino, per finire in Valcamonica. Unico filo conduttore di questo tragico peregrinare, l’azione del comandante del reparto e principale responsabile di tutti gli eccessi che costellano la storia della “Tagliamento”, ossia Merico Zuccari, già giovanissimo squadrista marchigiano e successivamente volontario in tutte le guerre mussoliniane, nonostante le mutilazioni riportate in battaglia. L’autrice individua in modo approfondito gli elementi fondanti del legame di sangue uomini di generazioni diverse (dai maturi militi già volontari in Russia agli impuberi quattordicenni reclutati ovunque nel centro e nel nord Italia): la fedeltà cieca ai valori espressi dal fascismo, il sanguinoso mito del sangue e dell’onore, la fratellanza d’armi e l’odio forsennato verso i nemici, armati o disarmati, bene espresso da uno sfogo velenoso di Zuccari, il quale, come intimo desiderio avrebbe voluto “… schiacciare tutti quanti sotto le ruote della sua automobile …”, proposito che cercò di rendere reale tramite decine di fucilazioni sommarie avvenute per venti mesi consecutivi, senza risparmi di forze e senza quartiere per nessuno. I comandanti di battaglione e di compagnia condividevano legge, con sparute eccezioni, questa Weltanschaung omicida e fecero quanto in loro potere per realizzare il sogno del loro capo, bruciando paesi, impiccando, stuprando e saccheggiando a man bassa senza tregua e senza misericordia. E’ difficile trovare nelle schiere già poco rassicuranti delle milizie volontarie salotine una formazione addestrata a simili livelli di brutalità, comunque tollerata, se non incoraggiata dai vertici stessi dell’agonizzante repubblica fascista, tanto è vero che lo stesso Mussolini, nel corso della visita al reparto, autografò una sua foto dedicata al comandante con il commento “La Tagliamento è la legione del mio cuore”. Non diverso il compiaciuto elogio che poco dopo giunse al reparto dal comandante delle SS e della polizia tedesca in Italia, Karl Wolff, che ribadì come le camicie nere con la “M” rossa fossero il migliore reparto antipartigiano a sua disposizione.
Unica precisazione che ci sentiamo di poter aggiungere ad un lavoro che senz’altro resta testimonianza di una tenace e ammirevole volontà di “sapere e capire”, riguarda l’interpretazione di questa storia feroce e senza misericordia: più che i rimandi allo squadrismo degli anni ’20 o all’esempio della altrettanto bestiale condotta nazista, a parer nostro per spiegare gli atti di Zuccari e dei suoi seguaci è sufficiente osservare il comportamento delle camicie nere nel corso dell’occupazione balcanica, fra il 1941 e il 1943; in Slovenia, come in Dalmazia o in Montenegro i reparti della MVSN si comportarono esattamente come in Italia dopo l’armistizio, a dimostrazione che essi consideravano tutta la RSI come territorio di occupazione, dove era possibile esercitare il diritto della forza e del sopruso, contro tutto e contro tutti. Resta, in conclusione, un mistero irrisolto, ossia il potere fascinatorio che questo malfamato reparto ebbe su giovani che poi hanno conosciuto successo nel mondo della letteratura e del teatro, come Giorgio Albertazzi, Carlo Mazzantini e Giose Rimanelli. Un angolo buio che, temiamo, è destinato a restare tale …